il fantasma del parco

Era una fredda sera di fine novembre. La nebbia si alzava dall'erba cancellando i contorni delle cose e trasformando gli alberi, ormai spogli, in figure adunche e spettrali. Il vento gelido costrinse l'uomo a stringersi il cappotto sul collo alla ricerca di un po' di calore. I suoi passi facevano scricchiolare la ghiaia dei vialetti del Parco.
L'uomo era solito attraversare il parco alle spalle del Castello per accorciare la strada per tornare a casa dal lavoro. In quelle sere invernali, in cui i rumori arrivavano attutiti attraverso gli alberi e Milano sembrava una città fantasma, l'uomo soleva accelerare il passo, percorso da un lieve senso di inquietudine. "Sciocchezze" pensava di solito, però i suoi piedi si muovevano più rapidi per tornare velocemente alla città che lo attendeva dell'altro lato del Parco.
In quella notte di freddo pungente però le cose andarono diversamente da tutte le altre sere. Mentre l'uomo continuava il suo cammino, una figura indistinta emerse dal muro di nebbia davanti a lui. Un forte odore di violette gli aggredì le narici, bizzarro da sentire quando il generale inverno aveva già ucciso la natura. La figura, che indistinta si muoveva verso di lui, assumeva contorni sempre più definiti. Una donna sembrava, vestita con un lungo abito nero e con un velo che le copriva il volto. La figura gli si avvicinava e l'uomo non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Era indubbiamente una donna, quella che attraverso gli abiti e il velo si poteva definire una donna bellissima. L'uomo arrestò il suo passo mentre la dama si faceva appresso. I suoi piedi sembravano sfiorare il terreno e non producevano nessun rumore pestando la ghiaia. Anche la donna si fermò davanti a lui. I loro visi erano a pochi centimetri e il freddo sembrava ancora più intenso. L'uomo era come rapito da un'incredibile bellezza che non poteva vedere, ma solo immaginare e la donna allora gli allungò la mano. E l'uomo la strinse. Era una mano gelida. Ma non importava, i due ricominciarono a camminare, mano nella mano, tra i viali del parco. La donna, muta, guidava il passo dell'uomo, completamente affascinato e rapito, lungo i prati, tra le piante, dentro la nebbia più fitta.
Camminarono per molto, impossibile dire quanto, lungo sentieri che l'uomo era sicuro di non aver mai visto e si fermarono solo davanti al cancello di una grande villa. La donna si trettanne e fissò l'uomo con quella che si poteva avvertire come una profonda tristezza, poi trasse da una piega della veste una grossa chiave arrugginita con cui aprì il pesante cancello. L'uomo, inebriato, seguì senza opporre resistenza la dama velata fino al portone della casa, dove, con gesto cavalleresco, fu lui stesso ad aprire per permettere alla donna di entrare.
All'interno la luce di molte candele rischiarava appena un vasto atrio con le pareti listate a lutto. Le fiamme tremarono disegnando ombre desuete sulle pareti nere e ancora una volta la mano gelida della donna lo afferrò per guidarlo in quell'immensa dimora; attraversarono fastosi saloni di marmo e stucco, tutti coperti da insegne funebri, fino a un grande salone vuoto dal quale preveniva una musica innaturale.
In un angolo del salone un'orchestra suonava ininterrottamente solo per loro. E allora la dama lo condusse in un vorticoso giro di danze. E l'uomo, fissando il velo nero che copriva il volto della sua compagna, immaginando appena i morbidi e sensuali contorni del suo corpo, in quelle danze dimenticò chi era e dove stava andando e solo la donna ci fu nei suoi pensieri. E ballarono, ballarono fino a che la donna non lo portò nella sua stanza da letto. L'uomo si sdraiò sul baldacchino coperto da lenzuola di seta nera mentre guardava la donna spogliarsi davanti a lui.
Lei si sdraiò nel letto senza togliersi il velo che le copriva il volto e lo strinse forte a sé e solo allora l'uomo ebbe il coraggio di alzare quel velo per guardare negli occhi la donna che, ormai ne era certo, amava. Afferrò con delicatezza i lembi inferiori dell'organza e lentamente scoprì il suo volto.
L'orrore rende i ricordi labili, l'uomo non ricordò con esattezza il susseguirsi degli eventi da quel momento in poi. Sicuramente scappò da quella casa con tutto il fiato che aveva in corpo, correndo senza una direzione lungo i vialetti oscurati dalla nebbia con il solo intento di andare il più lontano possibile. E si fermò solo quando, ormai lontano dal parco, al sicuro tra la folla di gente che, come ogni sera, percorre le strade di Milano, sentì lontano da lui il fiato gelido di quella presenza oscura. La cosa che però l'uomo non scorderà mai è il volto della dama velata, non scorderà mai il teschio che lo fissava con le sue orbite vuote da sotto il velo nero.
La testimonianza che riportiamo non è reale, ma è la somma di una serie di testimonianze, tutte abbastanza simili, che si riferiscono agli avvistamenti del fantasma di una dama velata nel parco del Castello. I primi racconti di fatti simili risalgono alla fine dell'Ottocento e da allora fino ad oggi le versioni non sono molto dissimili. Molte delle persone vittime della dama impazzirono e passarono il resto della loro vita aggirandosi nel parco alla ricerca della villa della donna di cui si erano innamorati. Il fatto fu preso tanto seriamente che i milanesi organizzarono vere e proprie spedizioni nelle notti di nebbia alla ricerca della dama e della sua misteriosa villa. Ma non trovarono mai nulla. Alcuni si dissero convinti che la casa degli spiriti era una villa, oggi scomparsa, che sorgeva all'angolo con via Paleocapa. Ma, ovviamente, non fu mai trovato nessun riscontro.
Se vi capitasse di passare nei dintorni del Parco e calasse una nebbia fitta, accelerate il passo e non date confidenza a nessuno, non si sa mai cosa potrebbe capitarvi.