il mostro del lago

Nel tardo autunno del 1946 due giovani cacciatori brianzoli, Carlo Bonfanti e Amilcare Dolcioni, si trovavano al Pian di Spagna di Colico. I loro quattro compagni di caccia erano andati a prendere le auto per tornare a casa e i due uomini erano rimasti sulla riva del lago sperando di poter abbattere ancora qualche preda prima del rientro. La giornata era tremenda; un cielo carico di pioggia minacciava tempesta e un vento furioso faceva impazzire le piante. Il lago era una distesa scura e limacciosa spaccata a tratti dalle fenditure di schiuma che emergevano incitate dal vento.
Carlo e Amilcare erano prossimi alla riva del Lario con lo sguardo puntato all'orizzonte. All'improvviso furono strappati dai loro pensieri da una visione che gli ghiacciò il sangue nelle vene. A pochi metri da loro, alto sul pelo dell'acqua, si trovava un mostro orribile dalla testa crestata di colore rosso bruno. Il corpo dell'animale, coperto di squame che parevano durissime, misurava circa due metri. Quando l'animale incrociò lo sguardo atterrito dei due cacciatori spalancò la bocca per mostrare una chiostra di denti aguzzi ed emise un sibilo acuto e fastidioso. I due uomini, accecati dal terrore, pensarono bene di imbracciare i fucili e aprire il fuoco contro l'animale. Uno dei due riuscì a colpire la creatura a un occhio. L'animale, ferito e sanguinante, si infuriò e cominciò a battere con forza la coda sulla superficie del lago, poi si diresse sicuro verso la riva con il chiaro intento di assalire i due cacciatori. Solo altri colpi di fucile sparati in aria lo convinsero alla fuga. Nel mentre, attratti dagli spari, arrivarono in riva al lago anche gli altri quattro cacciatori, giusto in tempo per vedere una figura nera e indistinta che si allontanava a gran velocità verso il centro del lago.
Così andarono le cose, o almeno questo è quello che racconta il giornalista Achille Combi sulle pagine de Il Corriere Comasco del 18 novembre 1946. I 146 chilometri quadrati del terzo lago più vasto d'Italia (dopo il Garda e il Maggiore) e soprattutto i 416 metri di profondità (un valore notevole, che fa del Lario uno dei laghi più profondi di tutta Europa) nasconderebbero quindi un terribile mostro, come già accade al lago di Loch Ness abitato, si dice, da un antico dinosauro che viene avvistato da secoli.
Il mostro fu subito battezzato dal giornalista con il nome di Lariosauro. Nel corso degli anni la confidenza della popolazione con il mostro fece modificare questo nome nel più affettuoso Larrie (tanto per non farsi mancare niente rispetto al ben più famoso mostro scozzese che tutti chiamano Nessie).
Il nome Lariosauro non è in realtà un'invenzione di quegli anni. Il termine Lariosauro designa infatti un rettile acquatico preistorico dal collo molto allungato che nel Triassico, 230 milioni di anni fa, abitava queste zone. Per essere precisi il lariosauro non abitava il lago che siamo abituati a conoscere, che ancora non esisteva, ma il golfo di Tetide, una zona del mare preistorico di Panthalassa, i cui bassi fondali, nell'arco di milioni di anni, si sarebbero trasformati nelle Alpi e nelle Prealpi.
La scoperta del primo esemplare di lariosauro si deve a Giuseppe Balsamo Crivelli che nel 1839 analizzò un animale fossile trovato sopra Varenna. Non dobbiamo immaginarci uno di quei grandi rettili preistorici, visto che si tratta di un piccolo esemplare lungo circa mezzo metro (si ritiene che gli adulti potessero al massimo raggiungere il metro e mezzo di lunghezza). Il naturalista non ritenne necessario mettere un nuovo nome alla creatura perché non era sicuro che si trattasse realmente di una nuova specie. Fu invece Giulio Curioni che, scoperto un altro esemplare fossile del preistorico animale, decise di dargli una regolare nominazione scientifica. Propose quindi di battezzarlo Lariosaurus Balsami, sauro lariano di Balsamo. Il piccolo lariosauro, che potrebbe sembrare un sauro poco importante dal punto di vista paleontologico, rappresenta invece uno dei tasselli fondamentali dell'evoluzione della vita sulla terra: è infatti considerato il punto di passaggio evolutivo dalla pinna alla zampa.
Secondo alcuni Larrie potrebbe proprio essere un esemplare miracolosamente sopravvissuto di questo antico ed estinto dinosauro acquatico. Sta di fatto che nell'arco di pochi mesi da quel novembre del '46 la notizia di un mostro nelle acque del Lario fece il giro di tutti i quotidiani d'Italia e, come sempre in questi casi, fu come scoperchiare un vaso di Pandora. Gli avvistamenti del mostro cominciarono a fiorire su tutte le sponde del lago, da Como alla Svizzera. Solo pochi giorni dopo, a Varenna, così raccontava La Provincia, tre pescatori piemontesi avvistarono un mostro a strisce verdi e nere che in tutto e per tutto era identico a quello visto dai due cacciatori brianzoli. In breve si scoprì che in paese quel mostro già lo conoscevano. Molti lo avevano avvistato sei anni prima durante un furioso temporale. Contemporaneamente si ricostruirono i casi di molti altri avvistamenti dei primi anni Trenta del Novecento in cui si parlava sempre di uno strano animale con testa simile a quella di un cavallo, ma squamosa, e corpo da serpente lungo cinque o sei metri. Ma le scoperte si spinsero ancora più indietro, fino al Cinquecento e agli scritti di Paolo Giovio su uno strano animale simile a una gigantesca carpa con una corazza impenetrabile che lui chiama burbaro e assicura che può raggiungere dimensioni superiori a quelle di un uomo.
In tutto questo bailamme di avvistamenti gli unici a cercare di fare un passo indietro furono proprio coloro che avevano dato il via al caso, quelli de Il Corriere Comasco, che già il 21 novembre scrivevano con sicurezza che nel Lario non c'era nessun mostro e tutti gli avvistamenti erano da ricondurre a un gigantesco storione che due giovanissimi pescatori erano riusciti a catturare proprio in quei giorni concitati.
Imperterriti comunque gli avvistamenti continuarono per decenni. Uno dei più recenti risale al 2003 quando fu visto una sorta di serpente marino lungo più di dieci metri.
Nonostante molti abbiano avanzato spiegazioni più che plausibili sui vari avvistamenti (lontre, storioni, lucci o carpe di dimensioni spropositate, branchi di pesci che si muovono così vicini da sembrare un corpo unico) ogni tanto qualcuno ancora si imbatte nel buon vecchio Larrie che si mostra, spaventa, non si fa fotografare e poi scompare nella buie acque lariane. Per chiudere useremo le parole del cantautore Davide Van De Sfroos che al mostro ha dedicato una canzone: «Ho visto squarciarsi il lago, ho visto coprirsi il cielo e la luna cadere giù. Era fatto come un anguilla, era grosso come un battello e mangiava tutte le stelle. Una biscia incatramata, con la bocca spalancata e occhi dell'altro mondo».