medeghino: il pirata del lario

A bordo della nave conosciuta da tutti come Brigantino, Gian Giacomo Medici è appoggiato al parapetto in direzione del Castello di Musso. L'uomo, basso di statura, ma agile e muscoloso, ha lo sguardo penetrante fisso su quella che fino a poco prima è stata la sua abitazione. Il suo abbigliamento è tutt'altro che sfarzoso nonostante sia straordinariamente ricco. Alla cintura porta infilate due grosse pistole con preziosi intagli in avorio. Sopra la sua testa, sul pennone della nave, sventola il vessillo che sempre lo accompagna bucato dai proiettili delle innumerevoli battaglie combattute.
Quando vede che gli spagnoli stanno cominciando a demolire la fortezza a colpi di piccone, urla ai suoi uomini l'ordine di far virare la nave e tornare verso il Castello. Gian Giacomo Medici, il Medeghino, come tutti lo chiamano, ha accettato molto denaro e titoli nobiliari per cedere quella roccaforte, ma non se ne sta andando da uomo sconfitto. Pretende quindi che, se gli spagnoli devono distruggerla, lo facciano solamente quando lui sia tanto lontano da non vedere.
Il Medeghino, nacque con il nome di Gian Giacomo Medici (niente a che fare con la famiglia fiorentina che però cominciò a vantare legami di parentela con il Medeghino quando questo acquisì il suo enorme potere) a Milano, nel gennaio del 1498, da una famiglia non nobile, ma nemmeno povera (suo padre era esattore delle tasse). La sua bassa statura gli valse, fin da giovane, il soprannome con cui lui stesso si firmava e con cui passerà alla storia, Medeghino, piccolo Medici.
Fin da giovanissimo Gian Giacomo si distinse per il carattere bellicoso, tanto che a sedici anni fu costretto a fuggire da Milano perché accusato di aver ucciso un suo coetaneo. Il Medeghino si rifugiò sul lago di Como che da allora divenne la base delle sue imprese e della sua fortuna. Nel comasco il giovane Gian Giacomo si legò ai ghibellini (Milano era ai tempi in mano ai francesi che avevano sempre avuto il sostegno dei guelfi; la famiglia Medici, aveva invece sempre avuto legami con gli Sforza, apertamente anti francesi) che in quegli anni agivano come partigiani attaccando di sorpresa i francesi e poi dileguandosi nelle foreste che ricoprivano il territorio.
In quel periodo il giovane Medeghino si distinse tra i suoi compagni sia per il grande coraggio che per una inaudita ferocia che gli fecero compiere azioni di straordinaria crudeltà. Stufo di combattere per ideali politici che riteneva vuoti e privi di senso, in breve il Medeghino si organizzò per trasformare l'intero Lago di Como nel suo territorio di conquista. Armate alcune nave divenne un pirata lacustre la cui fama faceva tremare le ginocchia a più di un potente. I suoi obbiettivi erano molto semplici: ricchezza e potere in maggiore quantità possibile.
All'inizio di questa sua nuova attività piratesca ebbe la fortuna di rincontrare un vecchio amico di famiglia, Girolamo Morone. Fu lui a coinvolgere il Medeghino nella nuova impresa che gli Sforza stavano mettendo in campo per cercare di riprendere il Ducato di Milano dalle mani dei francesi. Fu così che il Medeghino divenne un guerriero al soldo di Francesco II Sforza che, con l'aiuto degli spagnoli, si riprese Milano.
Gian Giacomo cambiò ancora una volta, in maniera radicale, la sua esistenza e poté tornare a Milano come un guerriero di professione legato in modo stretto al Morone di cui fu fedele guardia del corpo. La gloria del Medeghino durò finché non si fece convincere dal Morone a liberarlo del suo più grande avversario politico, Estore Visconti.
Purtroppo l'omicidio del Visconti obbligò Gian Giacomo ad allontanarsi nuovamente da Milano per tornare a rifugiarsi in territorio lariano.
Facendo base al Castello di Musso, una delle più importanti e inespugnabili fortificazioni di tutto il Lago, con un manipolo di mercenari raccolti da quasi tutte le guerre che si erano combattute negli ultimi anni, il Medeghino riprese la sua attività piratesca.
Uno dei suoi crimini più efferati fu il sequestro di un ricco possidente, Stefano da Birago, per cui chiese e ottenne un riscatto di 1.600 scudi. Il Medeghino però, in attesa del pagamento, si divertì a seviziare per settimane nel peggiore dei modi il prigioniero. Fu così che la fama della sua ferocia e la paura nei suoi confronti aumentarono a dismisura.
Presto però le cose per il Medeghino volsero al meglio. Milano tornò in guerra con la Francia che si alleò con la Svizzera. Il Medeghino e i suoi uomini furono gli unici a contrastare lo strapotere svizzero sulle acque del Lario tanto che lo Sforza riprese il pirata tra le sue grazie. Ma un nuovo rivolgimento di fronte e una nuova vita lo attendevano dietro l'angolo.
Milano divenne spagnola a tutti gli effetti. Francesco II Sforza si era trasformato in un burattino in mano iberica e il comandante dei nuovi invasori, Antonio De Leyva (della stessa famiglia da cui in seguito sarebbe nata la Monaca di Monza di manzoniana memoria) dichiarò guerra aperta al Medeghino. La tattica di combattimento del pirata però, simile alla guerriglia, fatta di attacchi improvvisi e rapide ritirate, rese impossibile agli spagnoli mettere le mani sul ribelle. A peggiorare la situazione si dice che Gian Giacomo fosse imbattibile nel governare le navi per attaccare e fuggire e che i cannoni con cui equipaggiava le sue imbarcazioni, progettati e costruiti da un allievo del grande Leonardo Da Vinci, fossero di una precisione millimetrica nel colpire il nemico. In più il Medeghino aveva amici ovunque e in breve era in grado di mettere insieme eserciti di migliaia di uomini (come fece quando decise di assediare Lecco per quasi un anno, in un ambizioso tentativo di divenire signore unico di tutto il Lago di Como).
Quello che non ottenne con le armi, il Medeghino prese con la diplomazia. Non riuscendo in alcun modo ad arginare il suo strapotere sul Lario, Antonio De Leyva decise di trasformare il Medici in un alleato: lo nominò così conte di Lecco e marchese di Marignano (oggi Melegnano) e trasformò il territorio sotto il suo controllo in uno stato indipendente (fu in quell'occasione che gli fu chiesto di abbandonare il Castello di Musso, una roccaforte militare tanto inespugnabile e perfetta da preferire vederla distrutta che in mano a qualche nemico).
Sotto il comando del re di Spagna, Carlo V, il Medeghino si distinse come comandante sui terreni di scontro di mezza Europa. La sua ultima straordinaria vittoria militare fu contro Siena. Le cronache ricordano come, nonstante gli incredibili successi ottenuti, il Medeghino rimase un uomo dalla proverbiale ferocia. Zoppo in seguito a una ferita di guerra, per camminare Gian Giacomo usava appoggiarsi a una scure. Quella stessa scure veniva brandita per uccidere chiunque si trovasse a portata delle sue braccia sia che si trattasse di un militare nemico che di un incolpevole contadino catturato solo perché nel posto sbagliato al moneto sbagliato.
La parabola del Medeghino trovò conclusione nel novembre del 1555 quando Gian Giacomo morì improvvisamente nel suo palazzo milanese. Le voci che si diffusero immediatamente parlarono di un avvelenamento. Niente di strano per un uomo che aveva vissuto come lui. Le sue spoglie furono sepolte a Milano, in Duomo, per volere di suo fratello Giovanni Angelo Medici, nel frattempo divenuto papa con il nome di Pio IV. Ancora oggi il Medeghino riposa nella cappella dell'Assunta e San Giacomo in un grandioso monumento realizzato dallo scultore Leone Leoni su disegno di Michelangelo.