milano città di serpenti e draghi

Oltre alla scrofa semilanuta, di cui abbiamo già parlato, tra i simboli di Milano, quello più strettamente legato alla città è un serpente; quello dei Visconti ovviamente.
Era il 1100 circa quando in Terra Santa si combatteva la seconda crociata. Ottone Visconti, valoroso guerriero, era alla testa dei settemila milanesi che lì combattevano. Voluce, un feroce comandante saraceno, volle affrontare Ottone da solo. Dopo ore di estenuante combattimento in cui i due valorosi comandanti mostrarono il meglio delle loro arti guerriere, fu Ottone ad avere la meglio e uccise Voluce con un colpo della sua spada. Come era usanza il comandante vittorioso spogliò l'avversario sconfitto delle armi e delle insegne. La più importante, la fondamentale, era quella dipinta sullo scudo, un serpente con la bocca spalancata che divorava un uomo.
Quando Ottone fece ritorno a Milano volle che quell'insegna divenisse simbolo della sua famiglia. La fece però modificare e anziché un uomo fece dipingere nella bocca del serpente un saraceno grondante sangue. La storia del biscione sarebbe confermata anche da alcuni versi di Torquato Tasso che si rifanno a quell'episodio: «E il forte Otton che conquistò lo scudo / in cui nell'angue esce il fanciullo ignudo».
Secondo altri invece la leggenda del serpente dei Visconti, risalirebbe ad un'epoca successiva e avrebbe come protagonista Azzone Visconti. L'anno era il 1323 e Azzone comandava i milanesi che si battevano contro i fiorentini nei pressi di Pisa. Azzone, in una pausa della battaglia, riposava al riparo di una fitta radura nei pressi della città. Stremato dai giorni di lotta si addormentò appoggiato ad un albero. Mentre il Visconti sognava le sue glorie future, una vipera si infilò nel suo elmo abbandonato nell'erba lì accanto. Al risveglio Azzone si calcò l'elmo in testa. In quello la vipera prese a sibilare e uscì dall'apertura superiore del copricapo. Senza spaventarsi il condottiero si tolse di nuovo l'elmo e lo appoggiò a terra per permettere al serpente di allontanarsi indisturbato. Vedendo in quell'episodio un tratto simbolico non indifferente, decise da allora di aggiungere alle insegne della sua famiglia un serpente con un uomo in bocca.
Ma le leggende sono molte. Un'altra ancora ci racconta del re dei Longobardi Desiderio, che il mito vuole antenato dei Visconti. Desiderio, stremato da uno scontro, si addormentò all'ombra di un albero. Mentre riposava una vipera gli salì addosso e avvolse le sue spire intorno al capo del re come una corona. Al risveglio dell'uomo, la vipera si allontanò senza morderlo. Anche Desiderio ritenne l'episodio di un'importanza tale da volerlo perpetuare nello stemma che poi sarebbe diventato quello dei Visconti.
Comunque sia andata oggi quello stemma significa molto per Milano e, oltre che dal Comune, è stato utilizzato dall'Inter, dall'Alfa Romeo e da Canale 5, che l'ha però modificato sostituendo l'uomo in bocca al serpente con un fiore.
Eppure il biscione dei Visconti non è il solo rettile legato alla città. Vi consigliamo una gita davanti alla chiesa di San Marco che si trova dove via Fatebenefratelli si incrocia con via San Marco, a due passi da Brera. Sul fregio della bifora a sinistra del portale d'ingresso si vede chiaramente un drago. Lo stesso mitico animale lo ritroviamo in una tela trecentesca conservata nel museo della chiesa. Non si tratta, come molti potrebbero aspettarsi, dell'animale affrontato da San Giorgio in tanti quadri conservati nei nostri edifici sacri, ma di un animale mitico che aveva in passato cinto d'assedio la città. Tarantasio, questo il nome del drago, imperversava nella zona del lago Gerundo, uno specchio d'acqua oggi scomparso che si stendeva tra Milano, Lodi e Bergamo. Era il V secolo. Da poco Milano aveva attraversato la tragedia della scomparsa di sant'Ambrogio e i barbari di Attila già premevano fuori dai confini pronti ad invadere la città. Ad aggravare un clima già pesante arrivò questo mostro che aveva adibito a sua dimora una fenditura nella roccia dalle parti del monte Merlo, quel curioso rialzo alto pochi metri che ancora si trova ai giardini di Porta Venezia, quelli oggi dedicati a Indro Montanelli.
Come ogni drago che si rispetti, anche Tarantasio esigeva il suo bottino di anime e chiunque transitava da quelle parti rischiava di venire divorato dal mostro o di essere arrostito dal suo mefitico fiato. Ci volle il coraggio di un cavaliere per sconfiggere il drago. Si trattava di Uberto Visconti, conte di Angera, progenitore della stirpe destinata un giorno a governare Milano. Senza mostrare paura Uberto si offrì di liberare la città dall'incomodo. Una mattina montò a cavallo e si recò nella caverna abitata dal drago. Tre giorni durò lo scontro con il mostro, ma alla fine, così raccontano le leggende, Uberto rientrò trionfante in città stringendo in una mano la testa del drago.
Secondo il Torre le spoglie del drago Tarantasio potrebbero essere quelle ritrovate all'inizio del Cinquecento, durante gli scavi per costruire il Mausoleo Trivulziano davanti alla chiesa di San Nazaro. «Nell'iscavare i fondamenti di questo Mausoleo, fu trovato il carcame d'un orribile e mostruoso Drago», così racconta anche se si dice poi dubbioso che si tratti proprio del mitico Trantasio e accenna alla possibilità che sia invece lo scheletro di qualche colossale animale portato ai tempi della Milano romana per combattere nella vicina arena.
Ancora un serpente va ricordato in questa cavalcata a dorso di rettile. Si tratta del serpente che trovate nella basilica di Sant'Ambrogio. Fa belle mostra di sé sulla cima di una colonna nella navata centrale. È una piccola scultura in bronzo ritenuta dai milanesi potente rimedio contro tutte le malattie intestinali, in particolare i vermi. La scultura arrivò in città intorno all'anno 1000 portata dall'arcivescovo di Milano Arnolfo II. Arnolfo era andato a Costantinopoli per rendere omaggio alla principessa Stefania che sarebbe dovuta diventare moglie dell'imperatore Ottone III. L'arcivescovo aveva il compito di consegnare i magnifici doni che gli aveva affidato Ottone e nel tornare a Milano avrebbe portato, oltre alla principessa, altrettante stupende regalie. Tra le cose che la principessa donava ad Ottone e alla città di Milano c'era anche questo piccolo serpente in bronzo che si diceva che fosse stato forgiato da Mosè in persone per difendere l'accampamento dai velenosi serpenti del deserto.
Il matrimonio purtroppo non si fece perché all'arrivo in Italia Arnolfo e l'attonita principessa scoprirono che Ottone III era morto. La principessa ricaricò tutti i doni su una nave e riprese il mare per tornare a casa. Lasciò però il serpente ad Arnolfo, come segno di stima e riconoscimento per l'incarico intrapreso. Arnolfo portò lo stupefacente regalo a Milano e lo fece posizionare dove ancora oggi possiamo vederlo. E lì resterà fino al giorno del giudizio, quando, secondo le profezie bibliche, il suo corpo si trasformerà in carne e ossa. Fatta sibilare la lingua tre volte il serpente prenderà a strisciare verso la Valle di Josafat, dove le mani di Mosè lo plasmarono. Finché vedrete il serpente al suo posto, sulla cima della colonna, state tranquilli, l'Apocalisse è lontana.