«Dieci anni fa gli uomini di un commando specializzato operante in Vietnam vennero condannati ingiustamente da un tribunale militare. Evasi da un carcere di massima sicurezza, si rifugiarono a Los Angeles vivendo in clandestinità. Sono tuttora ricercati, ma se avete un problema che nessuno può risolvere, e se riuscite a trovarli, forse potrete ingaggiare il famoso A Team». Con queste parole iniziava ogni puntata di A Team, il popolarissimo telefilm mandato in onda dall'americana NBC dal 1983 al 1987 (da noi arrivò nel 1984 su Retequattro).
Il plot era molto semplice: un manipolo di mercenari reduci dal Vietnam che, ingiustamente accusati di una rapina ai danni di una banca di Hanoi, scappa dalla polizia militare e nel frattempo viene assoldato da persone che devono risolvere delle situazioni di ingiustizia che le normali forze dell'ordine non possono, o non vogliono, risolvere.
Il colonnello John "Hannibal" Smith, impersonato dal George Peppard, noto al mondo per il film Colazione da Tiffany, Templeton "Sberla" Peck, "Howling Mad" Murdock e P. E. (acronimo di Pessimo Elemento, B. A. Bad Attitude nell'originale inglese) Baracus, a bordo del famoso furgone GMC nero con le strisce rosse, formano un commando di ousiders, che nonostante i guai con la giustizia, si occupa di risollevare le sorti di persone che per qualche motivo non possono essere salvati da quelli che potremmo definire aiuti "normali". Per meglio sottolineare il concetto, gli autori spesso infilano i personaggi in situazioni da cui possono essere tirati fuori solo grazie all'aiuto del matto del gruppo, Murdock, l'ousider degli outsiders.
La serie, creata da Stephen J. Cannell e Frank Lupo, inaugura un genere che potremmo definire di "militarismo buono", in cui, nonostante esplosioni, inseguimenti e centinaia di colpi sparati, non si arriva mai a uccidere o ferire seriamente qualcuno.
L'idea è semplice ma vincente. Una generale sfiducia del pubblico nei confronti delle normali istituzioni, spinge lo spettatore a identificarsi nei poveri bisognosi che cercano un aiuto esterno alla società per riguadagnare i loro diritti. Molto spesso, quasi sempre, diritti negati da persone ricche e senza scrupoli, rappresentanti di una società sempre più capitalistica, tipica degli anni Ottanta, che vede il potere accentrarsi nelle stesse mani che stringono il denaro.
«Adoro i piani ben riusciti» è la battuta che solitamente sancisce la vittoria dei cattivi "buoni" sui cattivi "cattivi" e la realizzazione dei desideri dei più deboli. Ma A Team non è la prima serie televisiva a muoversi lungo argomenti di questo genere. L'emarginato con problemi con la legge, il "cattivo" che diventa l'ultima soluzione per chi si scontra con il sistema e risulta l'unica chiave per rivolgere quel sistema contro sé stesso e riparare i torti subiti dai deboli, è sempre esistito nel cinema e nella letteratura. E ogni decennio ha visto telefilm alle prese con questo argomento.
Negli anni Sessanta il rappresentante di questa categoria è Simon Templar, protagonista della serie tv britannica Il Santo, rimasta in produzione dal 1962 al 1969. Il telefilm era basato sul personaggio letterario creato da Leslie Charteris e protagonista di una fortunata e sterminata serie di racconti pubblicati tra gli anni Venti e i Trenta. Simon Templar, soprannominato "Il Santo", è un ladro gentiluomo che aiuta donne deboli e bellissime alle prese con i problemi dati da criminali senza scrupoli. Un po' Arsenio Lupin, un po' Robin Hood, questo fuorilegge in abiti eleganti e con la faccia d'angelo è interpretato da Roger Moore, pronto, dopo il successo del serial, a rilevare dalle mani di Sean Connery la parte di 007. La serie ebbe un sicuro successo anche oltre oceano ed entrò nell'immaginario collettivo fino a spingere Phillip Noyce nel 1997 a trarne un film in cui la parte già di sir Moore fu affidata a Val Kilmer.
La figura del fuorilegge, seppur in un ambiente diverso, ritrova la strada delle televisioni statunitensi nei primi anni Settanta con il personaggio di Kwai Chang Caine, interpretato da David Carradine. Parliamo ovviamente della serie Kung Fu, in cui un mezzosangue cino americano, ingiustamente accusato di omicidio, scappa negli USA. Siamo nella metà del XIX secolo e il protagonista, addestrato alle arti marziali nel tempio di Shaolin, si ritrova a vagare per i territori dei pistoleri del West alla ricerca del fratello Danny. Il telefilm rispecchia appieno lo spirito degli anni Settanta e diventa un manifesto della non violenza, in cui il nostro emarginato fuorilegge aiuta i più deboli grazie al kung fu. Il serial, rimasto nel palinsesto della ABC per quattro anni, fino al 1975, è stato ampiamente omaggiato da Tarantino in Kill Bill, partendo dalla scelta di far impersonare uno dei protagonisti allo stesso Carradine, fino alla figura del maestro Pai Mei ricalcata sul maestro Po del telefilm (citato anche nel disneyano Kung Fu Panda).
Per la verità gli anni Settanta contano anche un altro telefilm basato sulla storia di due fuorilegge, come suggerisce il suo stesso titolo: Due onesti fuorilegge. Il telefilm dell'inizio degli anni Settanta, ma approdato da noi solo a metà anni Ottanta, racconta la storia di Hannibal Heyes e Jed Kid Curry, due fuorilegge del vecchio West con una grossa taglia sulla testa. I due riescono a fare un patto con il governatore: in cambio dell'aiuto a sgominare una pericolosa combriccola di criminali lui concederà loro l'amnistia. Però, c'è sempre un però, il patto ha valore solo se per un anno nessuno viene a sapere di questo accordo. Qui cominciano le spericolate avventure di questi due "cattivi" sopra le righe, che attraverseranno il paese senza poter dire a nessuno di essere stati amnistiati e quindi con tutti i problemi che questo comporterà.
Se ogni decennio ha i criminali che si merita, negli anni Novanta è la volta di Lorenzo Lamas, impegnato a fuggire nel telefilm Renegade. Lamas interpreta la parte di Reno Raines, un agente di polizia ingiustamente accusato di omicidio, che scorrazza per gli States a cavallo della sua Harley Heritage, con tanto di fiamme areografate sul serbatoio, sotto il falso nome di Vince Black. Mentre aspetta di riuscire a riabilitare il suo nome, fa il cacciatore di taglie e raddrizza i torti subiti dai deboli in compagnia dell'indiano americano Bobby Sixkiller.
Arrivati in anni più recenti le cose si fanno un po' più serie. I telefilm abbandonano l'infanzia per raccontare storie sempre più cupe e violente. Il fuorilegge per antonomasia dell'ultimo decennio è probabilmente il protagonista di Dexter. La serie, nata nel 2006, racconta le "prestazioni" di Dexter Morgan, splendidamente interpretato dall'inquietante Michael C. Hall, un perito ematologo della polizia di Miami che la notte diventa un serial killer. Per garantire un po' di bontà anche a questo particolare character, gli scaltri autori lo dotano di una sorta di codice morale, nella finzione del serial instillatogli dal padre adottivo, che lo spinge a rivolgere le sue pulsioni omicide solo verso i criminali che, per un motivo o per l'altro, la polizia non è in grado di fermare.
In questa nostra veloce e forzatamente incompleta carrellata nel mondo della delinquenza da piccolo schermo, merita sicuramente un posto d'onore un personaggio che, per quanto schierato dalla parte dei "buoni", spesso scivola dall'altra parte della barricata per ottenere quello che vuole. Parliamo di Vic Mackey, protagonista di uno dei migliori telefilm degli ultimi anni: The shield. Mackey è un detective del distretto di Farmington, periferia malfamata di Los Angeles. Il nostro per riuscire a mantenere un ordine del tutto personale nelle strade in cui combatte a capo dello Strike team (la squadra d'assalto) non rinuncia a utilizzare metodi violenti, arrivando addirittura a impugnare le armi per eliminare insidiosi colleghi.