un soldato di nome alessandro

Accadde in un giorno d'estate del 303. Il 26 agosto per la precisione. I soldati fedeli all'imperatore Massimiano circondarono la boscaglia in cui si diceva che il militare si fosse rifugiato e in breve tempo ebbero la meglio su di lui. Alessandro, lacero e ferito, legato come un animale, era stato finalmente catturato e uno dei soldati gli stava leggendo i capi di imputazione. Anche Alessandro era un militare e anche lui un tempo era stato fedele all'imperatore, quello stesso uomo che ora stava decretando la sua fine.
Alessandro apparteneva alla legione Tebea, un gruppo di seimila soldati per la maggior parte cristiani. Il loro compito era quello di sorvegliare le Alpi, una zona di frequenti scontri in cui spesso tribù celtiche cercavano zone di passaggio per entrare nella Pianura Padana e, da lì, avere una facile via di conquista verso le ricche città del centro Italia. Maurizio, l'uomo che guidava questi seimila uomini, era un comandante accorto e fedele che svolgeva il suo compito con abnegazione. Forse fu lui, convertito alla nuova religione dopo un periodo di stanza a Gerusalemme, a convincere i suoi uomini ad abbracciare la via che meno di trecento anni prima un nazareno di nome Gesù aveva indicato al mondo. L'imperatore d'Occidente Marco Aurelio Massimiano Erculeo poco si preoccupava di quale religione professassero i suoi uomini, purché gli fossero fedeli e combattessero come leoni. E così fu, almeno fino a quando Massimiano non chiese a Maurizio e ai suoi combattenti di andare contro una popolazione cristiana. Maurizio si rifiutò e con lui l'intera legione Tebea. Per evitare ritorsioni, tutti gli appartenenti alla legione fuggirono. La maggior parte di loro si rifugiò ad Agaunum (oggi Saint Maurice en Valais in Svizzera). Qui i soldati cristiani furono raggiunti dalle truppe imperiali che poco impiegarono a torturare e uccidere tutti coloro che non rinnegavano la nuova religione per tornare a pregare gli stessi dei adorati dall'imperatore. Fu una tragedia immane, tra coloro che morirono ci fu anche Maurizio che da allora sarebbe stato ricordato come santo e martire. Era l'anno 287.
Qualcuno dei legionari cristiani riuscì però a fuggire. Tra loro c'era anche Alessandro, il vessillifero della legione, colui che aveva il compito di portare l'insegna con l'aquila che sventolava sui campi in cui combattevano. Qualche anno dopo però i soldati dell'imperatore riuscirono a catturarlo. Successe dalle parti di Como, dove era fuggito con alcuni compagni.
Alessandro fu riportato a Milano al cospetto di Massimiano. L'imperatore voleva dare ancora una possibilità a un uomo che lo aveva sempre servito con una certa abnegazione e propose all'ex legionario di compiere un sacrificio agli dei dell'Impero Romano come testimonianza dell'abbandono della nuova religione. Se lo avesse fatto, tutto gli sarebbe stato perdonato.
Alessandro era davanti a un altare. Sopra la mensa gli idoli che rappresentavano gli dei che erano per sempre usciti dalla sua vita. Un pugnale per compiere il rituale e l'animale da sacrificare. Davanti l'imperatore con i suoi uomini che attendeva paziente. Alessandro mise le mani sull'altare e con un colpo delle braccia lo rovesciò gettando a terra i simulacri che si disintegrarono in mille pezzi. La sua scelta era compiuta, sarebbe morto per la religione in cui credeva. L'imperatore montò su tutte le furie e diede ordine a uno dei suoi uomini di decapitarlo immediatamente. L'uomo sguainò la spada ma in quell'attimo la testa di Alessandro gli apparve come una montagna, alta e possente, e non fu in grado di compiere la volontà di Massimiano. Le cronache ci riportano anche il suo nome, Marziano.
Massimiano diede lo stesso ordine ad altri suoi soldati, ma nessuno fu in grado di eseguirlo. Impose quindi ai suoi uomini di portare Alessandro in prigione. La sua condanna non era annullata, solo posticipata. Fortunosamente, con l'aiuto di altri sopravvissuti della legione Tebea, Alessandro riuscì ancora una volta a fuggire. Vagò verso est finché non trovò riparo in una boscaglia intorno a un fiume che si chiamava Morla, a pochi passi dalla città di Bergamo. Quella stessa zona un giorno sarebbe divenuta nota come Borgo Palazzo. Fu qui che gli uomini dell'imperatore lo ridussero all'impotenza, lo legarono e gli lessero i capi di imputazione. Il suo destino ormai si stava per compiere.
Come un animale fu trascinato per i borghi che si trovavano ai piedi del colle dove sorgeva la Città Alta e poi condotto lungo un vicolo in salita che prendeva il nome da un antico duca di Bergamo: Crotacio (o Protacio). Lungo questo vicolo si trovava un tempio. Qui gli uomini si fermarono, gettarono a terra il prigioniero e gli fecero un'ultima volta la stessa offerta che già gli aveva rivolto Massimiano. O compiva un sacrificio in onore degli dei pagani o sarebbe stato ucciso. Con calma e seraficità, Alessandro si fece portare dell'acqua con cui si lavò accuratamente le mani, poi si inginocchiò e pregò. Alla fine, senza opporre nessuna resistenza, porse il collo al suo carnefice. La sua ora era giunta. Quel 26 agosto del 303 un militare romano gli staccò la testa dal collo con un fendente della sua spada. Il resto è storia.
Il suo corpo e la sua testa furono raccolti da una donna di nome Grata, figlia di un certo Lupo, un nobiluomo bergamasco. Con l'aiuto di alcuni amici la donna portò il corpo di Alessandro fino a un terreno di sua proprietà dalla parti di Borgo Canale, dove gli diede degna sepoltura. Anche Grata divenne santa grazie a una vita condotta nel più vivo rispetto della religione cristiana. Le sue spoglie riposano nella chiesa a lei dedicata in via Arena.
Anche sulla tomba di Alessandro sorse una chiesa, la basilica alessandrina. Fu distrutta nel 1561 per costruire le mura venete che ancora cingono la città. Dove un tempo si trovava questa chiesa c'è oggi una colonna (a pochi passi dalla porta cittadina che ha conservato il nome del santo). Il corpo di Alessandro fu invece spostato nel Duomo che da allora prese il nome del santo della legione Tebea e rinunciò all'intitolazione a San Vincenzo Martire (a cui oggi spetta solamente l'onore di dare il nome a uno degli altari laterali della basilica).
Anche nel luogo dove Alessandro fu giustiziato, sopra il tempio pagano dove si cercò di corromperlo per l'ultima volta, sorse una basilica, quella di Sant'Alessandro in Colonna (oggi in via Sant'Alessandro). La colonna che si trova davanti alla chiesa, e che le dà il nome, si dice si innalzi nel punto preciso in cui Alessandro fu decapitato (fu forse santa Grata a farla innalzare).
Ma non è tutto qui. Un'altra chiesa nacque nel punto dove il santo era stato catturato per l'ultima volta, lungo l'attuale via dei Cappuccini. La tradizione vuole che sia stata costruita per volere di Carlo Magno in persona e il suo nome è Sant'Alessandro in Cattura (ma molti la conoscono come Sant'Alessandro della Morla o Sant'Alessandro dei Cappuccini). E ancora, si dice che mentre Grata stava trasportando il corpo del martire verso il luogo dove sarebbe stato sepolto, alcune gocce del suo sangue caddero al suolo. Nel punto dove toccarono terra germogliarono immediatamente dei gigli. Da allora in poi quella zona sarebbe divenuta nota a tutti come Borgo della Mutazione, che poi sarebbe stato storpiato in Borgo Mugazzone. E qui sorse la chiesa di Sant'Alessandro in Mugazzone, oggi conosciuta da tutti come Sant'Alessandro della Croce (in via Pignolo).