locatelli, primo trasvolatore delle ande

Siamo a quattromila metri di quota. Il piccolo biplano Ansaldo Sva sta danzando impazzito trasportato dal vento e dalle correnti. L'uomo ai comandi si preme la giacca a vento attorno al collo in un gesto inutile e disperato di resistere a temperature che ormai sono di svariate decine di gradi sotto lo zero. Le sue mani si stringono intorno alla cloche di comando e spingono l'aereo ancora più in alto. Seimila metri. Settemila. E oltre. La vetta dell'Aconcagua, la cima più alta delle Ande, è sempre più vicina e bisogna volare a settemila cinquecento metri per superarla.
Un nuovo turbine sbatte l'aereo di lato e lo fa precipitare di svariate centinaia di metri. L'uomo tiene i comandi con tutta la forza delle braccia. Ma l'impresa è disperata. La mancanza di ossigeno gli fa girare la testa. I continui sbalzi di pressione dati dai vuoti d'aria gli confondono la vista e gli provocano qualcosa di molto simile alle allucinazioni. È solo la forza della disperazione che ancora una volta gli dà l'energia di rimettere l'aereo nel giusto assetto e ricominciare la salita per superare le Ande.
L'impressionante mole dell'Aconcagua è sempre più vicina. L'aereo sembra quasi sfiorare i costoni rocciosi che si inerpicano nel cielo azzurro del Sud America. L'unica consolazione per il pilota è il pensiero che, se dovesse morire in quel momento, la sua sarebbe una delle tombe più belle del mondo. Allo stremo delle forze l'aereo riesce a superare la vetta più alta, sobbalza leggermente e comincia a planare verso il basso, verso l'Oceano Pacifico. È in quel momento che Antonio Locatelli prende dalla carlinga una pergamena in cui è avvolto un ramo fiorito e la getta di sotto. Si tratta di un pensiero per lo sfortunato Benjamin Matienzo, l'aviatore che prima di lui, tentando l'impossibile impresa di trasvolare le Ande, ha perso la vita.
Antonio Locatelli è un aviatore bergamasco. Si era distinto durante la Prima Guerra Mondiale per alcune eroiche imprese tra le quali merita di essere menzionato il celebre volo su Vienna, effettuato in compagnia del vate Gabriele D'Annunzio. Al termine della Grande Guerra è stato premiato con la medaglia d'oro al valore militare.
La spedizione a cui era associato il giovane Antonio Locatelli (aveva appena 23 anni) era giunta in Argentina nel marzo del 1919. Per la maggior parte era composta da giovani ufficiali dell'Aeronautica italiana reduci della Prima Guerra Mondiale. Lo scopo della missione era quello di rinsaldare i già stretti legami di amicizia tra il nostro paese e quello sudamericano, dove migliaia di italiani si erano stabiliti nei decenni precedenti alla ricerca di lavoro e fortuna.
Pochi giorni dopo essere sbarcato al porto di Buenos Aires, l'aviatore bergamasco monta a bordo del suo Ansaldo Sva da ricognizione e, in compagnia del compagno Scaroni, comincia a compiere voli dimostrativi in lungo e in largo per tutto il vasto territorio Argentino. Oltre che dare dimostrazioni delle notevoli abilità dell'aviazione nostrana, i voli servono a prendere confidenza con l'ambiente sudamericano e le sue condizioni climatiche per tentare un'impresa mai riuscita prima, la traversata in volo delle Ande.
In soli tre mesi Locatelli si ritiene pronto a il volo che sembra ben al di là delle umane possibilità. A luglio in Argentina il freddo è polare, ma Locatelli non si fa intimorire. Fa il pieno di carburante al suo piccolo aereo, si copre con indumenti pesanti e prende il volo da Buenos Aires per fare, non solo la storia dell'aviazione, ma anche quella di tutta l'umanità. Particolare non da poco, decide, per la prima volta nella storia, di imbarcare anche un sacco pieno di posta da recapitare dopo aver valicato le montagne. Primo esperimento di quella che in seguito diventerà un'usanza molto diffusa: la posta aerea.
Il clima è pessimo. Il freddo pungente e la fitta nebbia rendono già un'impresa raggiungere il Rio Salado, alle pendici delle Ande, da cui cominciare la trasvolata vera e propria. A impensierire il pilota è in particolare il pampéro, un vento forte e freddo che nasce al Polo Sud e spazza i cieli argentini causando pericolosi vuoti d'aria. Come se non bastasse un ciclone mette a dura prova il velivolo del bergamasco che, sballottato dai forti venti, consuma più carburante del previsto. Superato il mal tempo avvista la città di Mendoza, posta lungo la via che conduce alle Ande, e subito dopo le vette più alte della cordigliera avvolte dai ghiacci perenni. Lì si trova il Cerro Aconcagua, l'inviolata e più alta zona dell'intera cordigliera (e di tutto l'emisfero australe). L'aereo è sempre più preda delle turbolenze e del maltempo. A causa della scarsità di benzina nel serbatoio, Locatelli è costretto a rimandare il superamento delle vette più alte e fare ritorno a Mendoza per un atterraggio di emergenza.
La sosta a Mendoza dura alcuni giorni. Locatelli è forzato a terra da un'impressionante bufera di neve. Appena possibile rimonta a bordo e, raggiunta quota settemila, punta dritto verso l'Aconcagua. Dopo averne sorvolato la vetta più alta all'impressionante temperatura di trenta gradi sotto lo zero, con l'aereo scosso dai tremiti del vento e le ali coperte da cristalli di ghiaccio il peggio è passato. La storia è stata scritta. Temante per il freddo, senza più sentire le dita, Locatelli piega verso la valle del Rio Tupungato. Possiamo solo immaginare quanto il suo cuore esploda di felicità nell'avvistare la costa dell'Oceano Pacifico. Dopo aver sorvolato Viña del Mar, punta dritto verso Santiago, capitale del Cile. Qui una folla oceanica è in attesa di festeggiare l'opera del grande «teniente Locatelli» (come viene chiamato su tutte le prime pagine dei quotidiani sudamericani il giorno successivo) che viene portato in trionfo per le principali vie cittadine.
Antonio Locatelli fu il primo uomo a valicare le Ande a bordo di un aeroplano. Nel farlo si inventò anche la posta aerea. In tutto questo coprì l'Italia di una gloria imperitura che di riflesso fu attribuita anche ai velivoli italiani e di conseguenza alle industrie che li fabbricavano. Per un'impresa tanto importante il governo italiano regalò a Locatelli una significativa quantità di denaro. Eppure Locatelli non trattenne per sé nemmeno una lira. Così era fatto l'«aquilotto bergamasco» (come tutti lochiamavano). Faceva le cose per passione non per denaro. Molte associazioni benefiche della nostra città poterono godere dei soldi che Locatelli donò loro con il cuore impavido gonfio di amore verso i più sfortunati.
Locatelli dopo la straordinaria impresa sudamericana e un meno fortunato tentativo di trasvolare l'Oceano Atlantico (che si risolse con un ammaraggio di emergenza al largo della Groenlandia), tornò nella sua città natale dove divenne direttore della Rivista di Bergamo. Nel 1933 fu anche nominato podestà della città (in quel periodo si occupò di sistemare Città Alta, di creare il Museo del Risorgimento all'interno della Rocca -a cui donò anche uno dei suoi aerei- e di riorganizzare la viabilità pubblica).
Costretto a rinunciare ai suoi incarichi politici in seguito a disposizioni del regime che vietavano ai celibi di ricoprire determinate cariche, chiese di rinunciare al congedo militare e poter tornare a portare il suo aereo là dove serviva, nella campagna d'Etiopia. La morte se lo portò via nel 1936, a Lekempti. Un gruppo di ribelli assaltò il campo in cui si trovavano i membri della spedizione guidata dal generale di brigata aerea Vincenzo Magliocco. A parte il cappellano militare e alcuni interpreti indigeni, tutti i componenti della spedizione furono trucidati. Tra loro anche Antonio Locatelli. All'«aquila di Bergamo» non fu concesso nemmeno l'onore di trovare la morte nel suo elemento: l'aria. Morì invece con i piedi per terra, come un mortale qualunque. Lui che aveva aperto per la prima volta la rotta per la trasvolata delle Ande.