il giustiziere simone pianetti

È il 13 luglio del 1914. Sembra un lunedì mattina qualunque a Camerata Cornello, un piccolo paese dell'alta Val Brembana. Simone Pianetti, un uomo di 56 anni, si sveglia alle 5 e 30. Come ogni mattina beve il suo caffè. A differenza del solito saluta calorosamente la moglie e bacia con insistenza la figlioletta più piccola, poi esce di casa per quella che la moglie crede essere la sua solita passeggiata mattutina.
Alle nove Simone Pianetti, con un fucile in mano, è in località Sentino, appostato dietro un cespuglio a lato del sentiero che conduce al roccolo di proprietà del medico di Camerata Cornello, Domenico Morali. Appena il dottor Morali esce dal suo roccolo Pianetti gli spara una fucilata che lo ferisce al braccio destro. Il dottore ha solo il tempo di gridare «aiuto» che una seconda pallottola lo colpisce in pieno petto. Pianetti sa di aver sparato un colpo mortale e si allontana in direzione del paese. Il dottor Morali passa tre quarti d'ora agonizzando sul sentiero e poi muore.
Entrato in paese, Pianetti si dirige con passo sicuro verso il Municipio. Al primo piano del palazzo comunale incontra il segretario Abramo Giudici. Senza dargli la possibilità di proferir parola lo fredda con una fucilata alla testa.
Al terzo piano la figlia di Abramo Giudici, Valeria, terrorizzata dalla detonazione scende di corsa per le scale. A metà rampa incontra Simone Pianetti che la uccide con un colpo sparato a bruciapelo.
Pianetti abbandona il Municipio ed entra nella vicina casa di Giovanni Ghilardi, il calzolaio del paese. Lì intima alla moglie di andarsene e poi spara al calzolaio. Giovanni Ghilardi ci mette più di tre ore a morire tra atroci sofferenze.
Ora Simone Pianetti punta dritto verso la casa del parroco. Non lo trova, ma la perpetua gli indica che probabilmente è in chiesa. Proprio sul sagrato della chiesa parrocchiale Simone Pianetti vede il parroco, don Camillo Filippi, intento a chiacchierare con due abitanti di Camerata, Giovanni Giupponi e un certo Gusmaroli. Quando don Camillo vede Simone Pianetti gli va incontro per salutarlo, convinto che stia tornando da una battuta di caccia visto che imbraccia un fucile. È allora che Pianetti gli spara una fucilata al cuore che lo uccide sul colpo. Gli altri due uomini fuggono terrorizzati. Pianetti ha solo il tempo di sparare una fucilata alla schiena di Giovanni Giupponi e ammazzarlo sul colpo. Il Gusmaroli riesce invece a fuggire.
La sete di sangue di Simone Pianetti non si è però ancora placata. Si dirige verso la contrada di Cantalto Superiore per andare a casa di Caterina Nella. Pianetti la sorprende in cucina intenta a sgridare il nipotino di nove anni. Simone Pianetti non si fa intenerire dalla presenza del bambino e spara a bruciapelo anche a Caterina che morirà dieci ore dopo.
È quasi l'una del pomeriggio e Simone Pianetti, compiuta la sua vendetta, sparisce nel nulla.
Simone Pianetti era nato a Camerata Cornello, in frazione Lavaggi, nel 1858. Da giovanissimo, come molti suoi compaesani, era stato costretto a emigrare negli Stati Uniti in cerca di fortuna. Poco o nulla sappiamo del suo soggiorno americano. Sembra che a New York si guadagnasse da vivere con i lavori più disparati. Fu in quegli anni che legò con gli ambienti anarchici americani. Sempre a New York, in compagnia di un certo Antonio Ferrari, Pianetti fondò una società per importare frutta e vino, ma ebbe presto problemi con la mafia locale, ai tempi nota come Mano Nera, per questioni riguardanti il pagamento del pizzo. Pianetti, che aveva un'indole violenta e sanguigna, non accettò passivamente le imposizioni della mafia e decise di denunciare il fatto alle autorità. Molti criminali finirono in manette, ma la Mano Nera si vendicò ammazzando Antonio Ferrari e costringendo Pianetti a tornare in Italia.
Simone Pianetti tornò nella sua Camerata Cornello nel 1893. In quello stesso anno prese moglie, una ventenne di nome Carlotta Marini, e aprì un'osteria. Dopo alcuni anni di guadagni promettenti gli affari volsero al peggio e Pianetti fu costretto a vendere tutto per trasferirsi con la moglie e i sette figli a San Giovanni Bianco dove prese in affitto un mulino elettrico.
Molte furono le cose che si assommarono nella testa di Simone Pianetti in quegli anni difficili. Il mulino che aveva preso in gestione era stato boicottato dagli abitanti di Camerata Cornello facendo tracollare gli affari. Pianetti era ormai rovinato; aveva ricevuto lo sfratto dalla casa e dal mulino. Per un certo periodo la Commissione Mandamentale per le Imposte gli aveva ridotto una tassa sui beni mobili ritenuta eccessivamente gravosa, ma poi, a seguito di una puntigliosa e inutile denuncia di un agente delle imposte di Zogno, l'imposta era stata riportata al valore nominale e Pianetti si era trovato con un notevole debito nei confronti dello Stato.
L'odio che Pianetti ormai provava per i suoi simili si allargava a macchia d'olio e sembrava diventato incontrollabile. Il dottor Morali ad esempio, non solo aveva negato alla famiglia Pianetti un certificato di povertà, ma aveva anche sbagliato a diagnosticare un'appendicite al figlio Aristide causandone la morte. Caterina Nella non gli voleva restituire trenta lire che gli doveva. Ambrogio Giudici lo aveva sempre ostacolato ed era stato la causa del fallimento della sua osteria prima e del suo mulino dopo. Sua figlia, la giovane Valeria, Pianetti lo ricordava bene, lo aveva preso in giro mentre con la famiglia abbandonava Camerata Cornello per trasferirsi a San Giovanni Bianco. Altre persone Pianetti le odiava semplicemente perché amici dei suoi nemici, come il calzolaio Ghilardi, molto amico di Giudici, o il Giupponi che era strettamente legato al parroco del paese. Contro quest'ultimo Pianetti sembrava avercela in modo particolare perché aveva fatto chiudere la sua osteria additandola come un luogo di perdizione e aveva anche vietato di ballare in tutto il territorio comunale ritenendolo una pratica contraria ai principi cristiani. Il ballo era l'unica valvola di sfogo per la povera gente della valle e Simone Pianetti riteneva che fosse una folle imposizione.
Pianetti, che si era formato negli Stati Uniti, aveva una mentalità aperta e liberale (una mentalità che in parte stava invadendo anche la Valle Brembana grazie allo sviluppo di grandi centri turistici come San Pellegrino) e non poteva in alcun modo sopportare la chiusura e le imposizioni di una Chiesa che era sempre più potente e che manteneva gli uomini dei paesi della parte alta della Valle in uno stato di totale controllo e sudditanza. Il suo pensiero liberale e avverso alle imposizioni però lo aveva trasformato in quello che in un paese chiuso e conservatore tutti consideravano un anarchico e un rivoluzionario.
Fu proprio l'ostilità della chiesa prima e dei rappresentati del comune poi a costringerlo a fuggire da Camerata. Anche a San Giovanni Bianco però le maldicenze messe in giro dal parroco e dalle persone che avevano legami con lui lo costrinsero al fallimento. Il sindaco e il segretario comunale, d'accordo con don Camillo Filippi, cominciarono a dire in giro che la farina del mulino del Pianetti era avvelenata. Le voci presero tanto piede che presto la farina di quel mulino fu conosciuta come «farina del diavolo». Ovvio che in breve gli affari del Pianetti tracollarono e la situazione arrivò all'estremo che abbiamo appena raccontato.
Il Giornale di lui scrisse che «avrebbe coronato con l'eccidio sanguinoso un'esistenza inquieta di odi racchiusi e meditati: violento, spadroneggiatore, dominatore, dissipatore; egli non poté dar sfogo a tutti i suoi istinti di dominio tranne a quello della dissipazione per fatalità».
Ma indagando bene la vicenda ci si rende conto che forse c'è sotto qualcosa di più profondo e radicato. La storia di Simone Pianetti è quella di un uomo che si sentiva perseguitato e boicottato; che si rendeva conto che le istituzioni ormai lo avevano abbandonato e così facendo gli stavano portando via la possibilità di fare quello che ogni uomo ai tempi doveva fare: garantire una vita dignitosa a sua moglie e ai suoi figli. La storia di Simone Pianetti è quella di un giustiziere solitario che, in seguito a uno scoppio irrefrenabile di ira incontrollata, nata da mesi, se non anni, di continue vessazioni, portò la violenza alle più estreme conseguenze. Ma non dobbiamo tralasciare che in una situazione legata in parte alla semplice sfortuna, ci fu anche il feroce accanimento di uomini che si scelsero un bersaglio da perseguitare solo perché aveva concezioni di vita o mentalità più aperte rispetto a quelle del comune sentire.
Dopo la strage arrivarono a San Giovanni Bianco i carabinieri di Zogno. Di Simone Pianetti però non c'era nessuna traccia. Cominciò una caccia all'uomo che coinvolse tutta l'alta Valle e che durò per settimane. Su Pianetti fu anche messa una taglia di 1.000 lire.
Simone Pianetti intanto si era rifugiato al sicuro sulle montagne, sicuramente protetto da persone che vedevano in lui, non un feroce assassino, ma un giustiziere che si era innalzato per eliminare i soprusi che i potenti sempre fanno nei confronti dei deboli che cercano solo di sopravvivere.
Le autorità, disperate di non riuscire a mettere le mani su un criminale di tale ferocia, portarono la taglia sulla sua testa addirittura a 5.000 lire (una fortuna per l'epoca). Ma nessuno tradì il vendicatore di Camerata Cornello. Intanto la Corte d'Assise di Bergamo, dopo un processo in contumacia, aveva condannato Simone Pianetti all'ergastolo.
Nessuno sa quale fine fece Simone Pianetti. Alcuni sostengono che morì sulle stesse montagne in cui si era rifugiato, secondo altri tornò in America, dove visse come un guerrigliero rivoluzionario. Più probabilmente si trasferì a Milano dal figlio Nino e lì finì i suoi giorni. Quello che rimane è un segno profondo tra la gente della Valle che fa sì che ancora oggi la minaccia: «Faccio come il Pianetti» smorzi ogni discussione e lasci un brivido correre lungo la schiena.