odio tra bergamo e brescia: una questione antica

A origini leggendarie si fa risalire il bonario odio che da sempre divide le popolazioni bergamasche da quelle bresciane. Sembra che in periodo molto antico, al di là del tempo e della storia, i bergamaschi fossero fermamente convinti che la Luna fosse di proprietà dei bresciani e che, per dispetto, questi la mostrassero solo ogni tanto. Dopo lungo conciliare, i bergamaschi si risolsero a intraprendere un'azione di forza per potersi impossessare della Luna e non dover più rendere conto a nessuno di come e quando vederla. Armi alla mano, guidati da un comandante che nulla aveva lasciato al caso nell'organizzazione del furto, un ristretto e ben selezionato gruppo di combattenti si riunì dalle parti di Brescia. Le mappe avevano mostrato chiaramente che i bresciani potevano nascondere l'astro solamente oltre i colli dei Ronchi, da cui più volte i bergamaschi lo avevano visto sorgere. Ogni uomo era stato dotato di un falcetto, indispensabile per recidere le corde con le quali chiaramente la Luna era stata legata. E poi molte armi, per difendersi dai bresciani che non avrebbero lasciato compiere il furto senza muovere le mani.
Avvolti dal mantello dell'oscurità, i bergamaschi aspettarono in silenzio il momento giusto per intervenire e mettere le mani sul bottino. E il momento perfetto sarebbe stato quello in cui i bresciani avessero esposto alto nel cielo il loro più prezioso bene. Ma era una notte di nubi fitte e impenetrabili. E la Luna non si fece vedere da nessuno.
I bergamaschi non si persero d'animo e decisero di passare il giorno successivo tra i boschi e attendere la nuova notte sperando che i bresciani si decidessero ad esporre la Luna. Ma ancora nessuna Luna sorse all'orizzonte. Ora i bergamaschi cominciarono a essere un po' inquieti. E se in qualche modo gli scaltri bresciani avessero subodorato qualcosa riguardo al furto? E se l'assenza della Luna non fosse una coincidenza, ma una mossa preventiva atta ad evitare ai bergamaschi di portare a compimento il loro piano?
Quando anche la terza notte la Luna non si affacciò a rischiarare il cielo notturno, quella che prima era solo un sospetto divenne un'orribile certezza. I bresciani avevano mangiato la foglia e ora chissà quanto tempo sarebbe dovuto trascorrere prima che ai bergamaschi fosse nuovamente concesso il privilegio di rivedere la Luna sorgere nel cielo. I combattenti scorati cominciarono a raccogliere le loro cose e si prepararono a tornare a Bergamo. Fu il comandante che li arrestò con un imperioso gesto della mano. Prima di rientrare era necessario parlare e prendere delle importanti decisioni. Ora, se veramente i bresciani avevano scoperto il piano per il furto della Luna, difficilmente avrebbero ricominciato a esporre il loro bene nel cielo, perché il rischio di un nuovo tentativo di furto sarebbe potuto essere sempre presente. Ma a Bergamo come avrebbero affrontato la cosa? Avrebbero forse dato la colpa ai bresciani? O più facilmente l'avrebbero addossata agli uomini che avevano tentato di rubare la Luna e, non solo non erano stati in grado di farlo, ma, scoperti, avevano fatto perdere a tutta la città la possibilità di vedere il luminoso astro per sempre?
L'unica possibilità, fece notare il comandante di quel manipolo di coraggiosi, era di andare a Brescia, a testa alta, senza vergogna a chieder perdono del tentativo di furto e a giurare solennemente che se avessero ricominciato a mostrar la Luna, i bergamaschi si sarebbero impegnati a non rubarla mai.
Così fecero questi coraggiosi guerrieri. Il giorno successivo, davanti alle autorità cittadine di Brescia, confessarono il tentativo di furto. Ovviamente i bresciani rimasero a bocca aperta. Non solo non sapevano niente del furto, ma nemmeno sapevano di essere in possesso della Luna! Fatta la solenne promessa, i bresciani, che a fatica trattenevano le risa, visto il cielo sereno che c'era da tutto il giorno e che era previsto anche per la serata, si spinsero fino a promettere che, per mostrare la loro magnanimità e il perdono di cui erano capaci, quella notte avrebbero concesso ai bergamaschi di tornare alla loro città con il sentiero rischiarata dalla Luna.
E così accadde con i bergamaschi rapiti dallo splendore dell'astro che non erano stati in nessun modo in grado di rubare e con i bresciani che probabilmente non riuscirono a trattenere fragorosi scoppi di risa.
In realtà la rivalità tra Brescia e Bergamo storicamente può essere fatta risalire a una serie di scontri che si dipanarono lungo tutto il XII secolo. Tutto cominciò intorno al 1126 quando un certo Giovanni Brusati, alla ricerca di denaro per rispettare il giuramento fatto di recarsi in Palestina, mise in vendita alcuni terreni datigli in feudo dal vescovo di Brescia. A causa di pesanti ristrettezze economiche la curia bresciana rinunciò a far valere il diritto di prelazione così che i terreni furono liberamente acquistati dal Comune di Bergamo. Questi terreni però comprendevano notevoli postazioni militari come i castelli di Volpino, Ceretello e Qualino e fu presto chiaro come le nuove acquisizioni avevano notevolmente ampliato l'influenza politica e commerciale della bergamasca su zone storicamente bresciane come la val Camonica e la sponda orientale del Sebino. Immediatamente il vescovo di Brescia contestò la vendita effettuata dal Brusati e dichiarò i possedimenti ancora nelle mani di Brescia. Bergamo non volle mollare la presa e per sottolinearlo riempì le fortezze di truppe militari. Brescia non si tirò indietro e cominciò una lunga guerra di logoramento che si svolse in quella manciata di terreni per quasi trent'anni.
Finalmente sembrò di essere arrivati a una soluzione quando, nel 1154, sentite le parti in causa, l'imperatore Federico Barbarossa sentenziò che i terreni tornassero nella mani della curia di Brescia. Inizialmente i bergamaschi si sottomisero al volere imperiale, ma dopo solo un anno inviarono nuove truppe in zona e ricominciarono le scaramucce militari. Al culmine dell'esasperazione i due eserciti decisero di risolvere finalmente la questione su un vero campo di battaglia in quella che in seguito sarebbe rimasta scolpita nella memoria come la Battaglia di Palosco o Battaglia delle Grumore. Qui un nuovo episodio, nato forse da un'incomprensione, non fece che acuire un odio che ormai aveva radici profonde. Il 10 marzo del 1156 le truppe bresciane varcarono l'Oglio dalle parti di Palosco e si accamparono in località Grumore. I bergamaschi che si trovavano appena oltre fecero di tutto per provocare la battaglia ma senza risultati. Dando per scontato che ormai lo scontro fosse rimandato al giorno successivo i bergamaschi si accamparono certi di una tregua che non era però stata dichiarata da ambo le parti. Prima ancora del sorgere del sole infatti i bresciani assalirono il campo dei bergamaschi mezzi addormentati e sbaragliarono completamente gli avversari. Al termine degli scontri, oltre a un incalcolabile numero di morti, i bergamaschi videro distrutta la fortezza di Palosco e rubato il gonfalone di Bergamo dedicato a Sant'Alessandro che i bresciani portarono come trofeo in città.
La pace stipulata il 21 marzo del 1156 presso la chiesa di San Michele tra le Mura a Telgate stabilì che i bergamaschi dovevano abbandonare ogni pretesa sui territori in questione e in particolare sul castello di Volpino.
I bergamaschi, decisi a non mollare, interpellarono nuovamente il Barbarossa (l'imperatore aveva avuto nuovi screzi con Brescia e quindi il suo parere in merito alla questione era mutato) mentre i bresciani chiedevano aiuto all'altra grande autorità del tempo, l'unica in grado di rivaleggiare con l'imperatore, papa Adriano IV. Lo scontro tra papa e imperatore ovviamente andava decisamente al di là delle diatribe per una piccola e quasi inutile fortezza e la situazione non si sarebbe risolta molto facilmente. I bresciani decisero così di potenziare le mura della fortezza di Volpino, ma nonostante questo, con un colpo di mano, i bergamaschi nel 1162 riuscirono a riconquistare la fortezza. Come tra due bambini litigiosi si decise di risolvere il problema distruggendo la fortezza di Volpino e dando come contentino ai bergamaschi la possibilità di riavere indietro le insegne perse durante la Battaglia di Palosco.
Per qualche anno le cose sembrarono stabilizzarsi anche perché sia Brescia che Bergamo furono impegnati nella Lega Lombarda a combattere per l'allontanamento del Barbarossa. Ma la pace durò solo fino al 1191. L'oggetto del contendere era sempre lo stesso, le terre di confine tra Bergamo e Brescia lungo il Sebino. Una serie di piccole e fastidiose scaramucce si risolse in una grande battaglia che passò alla storia con il nome di Battaglia di Rudiano o Battaglia della Malamorte. Il 7 luglio i bergamaschi si schierarono tra Palosco e Telgate mentre i bresciani erano accampati a Palazzolo. Più a sud dei due eserciti, a Cividate, erano accampati invece i cremonesi che si erano alleati con i bergamaschi. I bresciani invece erano in attesa di truppe fresche in arrivo da Milano. La prima mossa spettò ai cremonesi che costruirono un ponte di barche lungo l'Oglio per varcare il fiume e tentare di prendere le truppe bresciane di sorpresa. Biatta di Palazzo, uno dei comandanti bresciani, era però in osservazione dei cremonesi dalla fortezza di Rudiano. Subito dietro ai cremonesi anche i bergamaschi, che avevano abbandonato le posizioni di Palosco varcarono l'Oglio sullo stesso ponte di barche. Sorpresi dall'arrivo di entrambi gli eserciti i bresciani ebbero un momento di sbandamento che sembrò rivelarsi quasi definitivo per la risoluzione dello scontro. Quando ormai le sorti della battaglia sembravano decise, arrivò sul campo Biatta di Palazzo con pochi uomini, ma allo squillo di molte trombe. Bergamaschi e cremonesi temendo che fosse alfine arrivato il terribile esercito milanese (che per la verità nessuno mai vide durante quello scontro) cominciarono a indietreggiare timorosi fino a farsi ricacciare sul ponte di barche da cui erano arrivati. Questo però non resse al peso dei militari e collassò portando alla morte per annegamento moltissime persone. Gli altri militari ormai intrappolati sulla riva "sbagliata" dell'Oglio furono barbaramente trucidati. Ecco perché la battaglia è ricordata come della Malamorte.
Molti altri scontri si svolsero negli anni successivi tra i paesi a cavallo del fiume Oglio e la contesa si risolse solo dietro l'intervento di Enrico VI che stabilì quali territori dovevano essere assegnati a Brescia e quali a Bergamo. Quello che però ancora oggi non appare risolto è l'atteggiamento di inimicizia che da sempre contraddistingue i rapporti tra le due città.